Nella mente del complottista (e dell’anticomplottista)

Nella mente del complottista (e dell’anticomplottista)

Sabato 4 giugno
Come discutere con un complottista? Quali sono i meccanismi che portano alla diffusione di fantasiose ipotesi di complotto basate su teorie pseudoscientifiche? Che cosa porta una persona a credere a queste fantasie di complotto? I social media giocano un ruolo nella diffusione di queste teorie? Sono alcune delle domande al centro di diversi interventi del secondo giorno del CICAP Fest: nell’interrogarsi sulla scienza del mondo che verrà, bisogna anche ragionare su chi quella scienza, per vari motivi, la nega e la rifiuta abbracciando fatti e teorie alternative.

Non si tratta di un fenomeno nuovo, ha spiegato lo psicologo dell’Università di Padova Bruno Gabriel Salvador Casara durante l’incontro “Andiamo verso un mondo di complotti?”: la mentalità complottista svolge infatti alcune funzioni psicologiche importanti, come dare un senso alla realtà, rassicurare e creare legami di gruppo. Per questo, ha aggiunto la ricercatrice Fabiana Zollo, internet e i social media hanno certamente aiutato la diffusione di queste teorie, permettendo la creazione di comunità diffuse che purtroppo agiscono come “camere dell’eco” isolando le persone.

Sull’aspetto sociale della conoscenza ha insistito anche il filosofo Sebastiano Moruzzi: quante delle cose che conosciamo le abbiamo apprese direttamente e quante tramite “testimonianze”, ad esempio lette in libri e riviste o apprese a scuola? Le teorie del complotto agiscono come “filtri di discredito” che squalificano alcune fonti di informazione come inaffidabili e, con un atteggiamento che Moruzzi ha definito “autosigillante”, rifiutano qualsiasi prova contraria.

Come contrastare le teorie del complotto? «Uscire dall’atteggiamento di tifoseria» ha risposto Casara. Atteggiamento, ha aggiungo Zollo, che spesso si trova anche da parte di chi i complotti li vuole smontare. Una dimostrazione la si è avuta, nel pomeriggio, nell’incontro tra il presidente del CICAP Sergio Della Sala e l’autrice radiofonica Chiara Galeazzi. Galeazzi ha avuto un’emorragia cerebrale che, pur essendo avvenuta a mesi di distanza dalla vaccinazione, è stata ripresa da alcuni gruppi contrari ai vaccini per il Covid come prova degli effetti collaterali. Galeazzi ha raccontato la sua esperienza e i commenti ostili e aggressivi che l’hanno riguardata per il semplice fatto di essersi vaccinata. Purtroppo commenti ugualmente aggressivi si sono visti contro i “no vax”, in una polarizzazione che danneggia tutti.

Di polarizzazione durante la pandemia si è discusso anche nell’incontro con Marco Ferrazzoli, capo dell’Ufficio stampa del CNR: dall’impiego del linguaggio bellico alla retorica dell’eroismo verso il personale medico fino alla ricerca continua di un colpevole, Ferrazzoli ha ripercorso i momenti critici della risposta pubblica alla pandemia di COVID-19. Per affrontare sfide come il coronavirus servono certamente competenze medico-scientifiche, ma anche comunicative: purtroppo i problemi non sono state soltante le “fake news” su internet, ma anche le informazioni apparse sui media tradizionali, talvolta da parte di alcuni membri della comunità scientifica che non sono stati in grado di comunicare correttamente l’incertezza, cosa che rischia di alimentare proprio la diffidenza verso la scienza e il complottismo.

La comunicazione con chi non la pensa come noi è stata anche al centro dell’intervento, in collegamento video, dello storico e filosofo della scienza statunitense Lee McIntyre. “Come parlare con chi nega la scienza?” è la domanda che gli ha chiesto Massimo Polidoro. Il punto di partenza, ha spiegato McIntyre, non è la singola teoria scientifica che viene negata, ma il metodo di ragionamento. L’approccio migliore, che McIntyre ha sperimentato a un convegno di terrapiattisti, è concentrarsi sulle convinzioni, chiedendo ad esempio che cosa potrebbe convincere una persona a cambiare idea. «Non lo si convince, ma lo si mette a disagio, lo si fa ragionare sulle sue motivazioni».
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