Ottobre
Sab 14
16:45 - 17:45
CORTILE | Palazzo Moroni
Con Giorgio Vallortigara
Modera Claudia Di Giorgio
Secondo molti studiosi la coscienza sarebbe legata alla quantità e alla complessità degli elementi del sistema nervoso. Sulla scorta degli studi sulle capacità cognitive di organismi dotati di cervelli miniaturizzati, come api e mosche, Giorgio Vallortigara sviluppa una prospettiva antitetica a quella convinzione. La tesi è che le forme basilari dell’attività cognitiva non abbiano bisogno di grandi cervelli, e che il surplus neurologico che si osserva in alcuni animali, tra cui gli esseri umani, sia al servizio della memoria e non del pensiero o della coscienza. L’insorgere di quest’ultima va piuttosto ricercato in una caratteristica essenziale delle cellule: la capacità di sentire. Una capacità che si sarebbe manifestata per la prima volta quando, con l’acquisizione del movimento volontario, gli organismi elementari hanno avvertito la necessità di distinguere tra la stimolazione prodotta dalla propria attività e quella procurata dal mondo esterno, l’altro da sé. L’esistenza di un minimo comune denominatore tra noi e le forme di vita più umili ci allontana una volta di più dal concetto cartesiano dell’animale-macchina – e solleva interrogativi etici ai quali non potremo sottrarci.
Con Giorgio Vallortigara
Modera Claudia Di Giorgio
Secondo molti studiosi la coscienza sarebbe legata alla quantità e alla complessità degli elementi del sistema nervoso. Sulla scorta degli studi sulle capacità cognitive di organismi dotati di cervelli miniaturizzati, come api e mosche, Giorgio Vallortigara sviluppa una prospettiva antitetica a quella convinzione. La tesi è che le forme basilari dell’attività cognitiva non abbiano bisogno di grandi cervelli, e che il surplus neurologico che si osserva in alcuni animali, tra cui gli esseri umani, sia al servizio della memoria e non del pensiero o della coscienza. L’insorgere di quest’ultima va piuttosto ricercato in una caratteristica essenziale delle cellule: la capacità di sentire. Una capacità che si sarebbe manifestata per la prima volta quando, con l’acquisizione del movimento volontario, gli organismi elementari hanno avvertito la necessità di distinguere tra la stimolazione prodotta dalla propria attività e quella procurata dal mondo esterno, l’altro da sé. L’esistenza di un minimo comune denominatore tra noi e le forme di vita più umili ci allontana una volta di più dal concetto cartesiano dell’animale-macchina – e solleva interrogativi etici ai quali non potremo sottrarci.